Va in scena il laterizio. La ricostruzione del Teatro Galli di Rimini
Al confine occidentale delle mura urbane di Rimini, in un’area densa di storia, sorge il Teatro comunale Amintore Galli, sul quale oggi si apre – o forse si chiude – il sipario di una vicenda controversa e dibattuta da tempo.
A conferma, la continua querelle che lo vede protagonista sin dal momento della sua concezione.
Quando nel 1838 la struttura teatrale lignea realizzata nel Palazzo medievale dell’Arengo – già attiva in pianta stabile dalla metà del Seicento – viene dichiarata insufficiente, inadeguata e pericolosa, Rimini matura l’idea di costruire un edificio architettonicamente e funzionalmente autonomo. Le prime voci del dibattito riguardano la sua ubicazione nella città.
Le tre possibili collocazioni nel tessuto urbano, difese da altrettante fazioni di cittadini, presuppongono tre tipologie di teatro distinte per forma, mole e impiego: piccolo, poco costoso, adatto a modesti spettacoli lirici e di prosa il manufatto da realizzare nell’area della Gomma, lungo Corso d’Augusto; di medie dimensioni, decoroso, idoneo a rappresentazioni di più alto rango sociale quello ipotizzato per Piazza del Corso – oggi Piazza Malatesta –; imponente, prestigioso al pari dei monumenti della città e dei grandi teatri della regione quello pensato per Piazza della Fontana – oggi Piazza Cavour –.
La scelta finale è sofferta, ma strategica. Il nuovo teatro è eretto sul lato corto dell’allora Piazza della Fontana tra la vecchia cattedrale di Santa Colomba, il Castello malatestiano di Sigismondo e i palazzi municipali e si imposta parzialmente sui resti della fabbrica seicentesca dei Forni.